AZIENDA SPARACIA
TIPO DI BORGO — azienda dimostrativa
progettista — N. D.
data di progetto — N. D.
località — c.da sparacia
stato di conservazione — rudere
L’Azienda Sparacia fu creata per attuare i processi e gli studi condotti per il miglioramento fondiario in seno al vasto programma di Bonifica Integrale, teorizzato da Arrigo Serpieri, esperto di economia agraria, Sottosegretario del Ministero dell’Agricoltura e Presidente dell’Accademia dei Georgofili tra il 1926 ed il 1944. Secondo il Serpieri, l’azione bonificatrice mirava ad avviare un “processo risolutivo […], che è insieme di avversità naturali, di deficienze sociali, di difficoltà economiche”. Come fa notare Mauro Stampacchia nel suo “Ruralizzare l’Italia” la “cultura agraria di Serpieri si caratterizza innanzitutto per essere di tipo eminentemente applicativo, orientata verso il fare, quindi continuamente soggetta al confronto con i problemi produttivi e sociali”. E, ancora, Francesco Saverio Nitti – eminente politico italiano e più volte Presidente del Consiglio – vedeva in Serpieri l’uomo nuovo “che l’Italia attende, perchè potra dare nuova e più grande forza all’economia nazionale”.
Di Bonifica Integrale si iniziò a parlare già nel 1910 quando si pose l’accento sulla possibilità di trovare una “finalità comune alle opere e agli agenti bonificatori” per dirla con Carlo Ruini. La compartecipazione tra Stato e Consorzi dei proprietari sarebbe dovuta essere lo strumento per attuare le opere di bonifica che avrebbero portato ad un miglioramento delle condizioni di vita per i contadini e un aumento del prodotto. In questo modo, lo Stato si sarebbe fatto carico delle opere piu costose mentre i privati avrebbero provveduto alle opere di minor costo, il tutto secondo l’Art. 7 del Regio Decreto 13 febbraio 1933, n. 215 “Nuove norme per la Bonifica Integrale”. Tale disposizione verrà successivamente ripresa negli anni ’50 del XX secolo per le opere connesse al completamento di Borgo Callea e alla costruzione di Borgo Pasquale e Borgo Ficuzza nella stessa Valle del Tumarrano.
Attuare il R.D.L. 215/1933 significava creare però una struttura capace di realizzare i dettami in esso contenuti. Per ciò, con R.D.L. del 19 novembre 1925, n. 2110 fu istituito – grazie al sostegno economico del Banco di Sicilia – l’Istituto Vittorio Emanuele III per il Bonificamento della Sicilia – da ora Istituto VEIII – i cui scopi miravano a “promuovere, assistere ed integrare in Sicilia, ai fini del bonificamento, con particolare riguardo alle trasformazioni fondiarie, l’attività di privati, singoli e associati, condizionandola con quella dello Stato”. L’azione di tale istituto – diretto da Guido Mangano – che cominciò ad operare effettivamente nel 1930, si svolse in varie direzioni: promozione di consorzi, redazione di progetti di bonifica e direzione dei relativi lavori per conto di consorzi; finanziamenti agevolati; ricerche idrogeologiche; diffusione delle più moderne tecnologie.
L’attività dell’organo statale si inserì presto nell’ambito di una visione complessiva di quella che doveva essere la politica dello Stato e del regime nell’agricoltura; politica che si andava rivelando con una legislazione sistematica che inevitabilmente avrebbe portato alla trasformazione del latifondo. Ciò accadeva mediante l’agevolazione della creazione di piccole proprietà contadine, la fondazione di borghi rurali, la bonifica dei territori coltivabili e tutta una disciplina normativa mirante all’elevazione del reddito agricolo come presupposto per una serie di azioni intese all’evoluzione sociale delle popolazioni rurali (cfr. L’intervento pubblico nell’agricoltura siciliana e la fine del mondo contadino).
Per potere conferire all’azione del nuovo Istituto un più concreto riscontro, fu necessario creare un esempio che, meglio di ogni intelligente propaganda, avrebbe potuto dimostrare la possibilità tecnica e la convenienza economica della trasformazione. Sorse cosi l’Azienda Dimostrativa Sparacia, situata nel centro dell’isola, in un tipico ambiente a granicoltura estensiva, acquistata dall’Istituto nel 1934.
L’area di Sparacia fu appoderata in ottanta unità dell’ampiezza media di una ventina di ettari e un patto aziendale, del tutto nuovo per l’isola, vi introdusse la mezzadria miglioratoria con l’obbligo di permanenza sul podere dell’intera famiglia. Lo stesso Mangano approfondisce questo aspetto in un articolo comparso in “Bonifica e Colonizzazione” del 1937 dal titolo “La trasformazione fondiaria e il nuovo patto colonico a Sparacia (Sicilia)”.
Perchè fu scelta proprio Sparacia? La riposta si trova nel testo “Centri Rurali” del 1937 edito dall’Istituto VEIII, in cui lo stesso direttore dell’Ente sottolinea la necessità di “spezzare le zone di campagna” che erano prive di servizi come la chiesa, la scuola e “qualsiasi altra manifestazione di vita civile”. Sparacia rispondeva a queste necessità ed, inoltre, era un’area di particolare interesse perchè in breve tempo sarebbe sorto “sopra una collinetta che abbiamo battezzato “Poggio Benito”, il primo “Centro Rurale” della Sicilia”. L’Istituto VEIII e Mangano, infatti, avevano pianificato la costruzione di “un centro massimo, uno medio e tre piccoli” in quei 20.000ha compresi tra Alia, Valledolmo, Vallelunga, Mussomeli, Cammarata e Lercara Friddi. Il centro grande – nonostante bollato come “infelicissimo villaggio tipo Ministero LL.PP.” dallo stesso autore – sarebbe stato Borgo Regalmici, distante dalla zona di Sparacia pochi chilomentri in linea d’aria, forse ripreso e riadattato per le nuove necessità bonificatrici.
Il nome Poggio Benito, invece, fu proposto dall’Avv. Francesco Borsellino di Busunè di Agrigento in base ai criteri di un concorso pubblico indetto nel 1934 dall’Istituto VEIII che aveva lo scopo di trovare toponimi adatti ai dieci centri rurali che sarebbero sorti in Sicilia. Le proposte avrebbero dovuto seguire delle regole ben precise: essere “italianamente belli, preferibilmente monoverbi, […] esprimere la volontà di rinnovamente del popolo italiano o la fiducia dell’opera redentrice della bonifica integrale, o, appoggiandosi alla tradizione storica dell’Isola, ricongiungere idealmente questi nuovi importanti atti di vita dell’era fascista al non dimenticabile passato”. Per ogni nome approvato dalla commissione, composta dal Direttore dell’Istituto, dal Presidente di un Consorzio di Bonifica dell’Isola e da un Professore della Facoltà di Lettere dell’Università di Palermo, il partecipante avrebbe ricevuto “un premio in libri di soggetto siciliano del valore di oltre lire cento”. Purtroppo non sapremo mai se il Busunè ricevette il suo premio.
Borgo Poggio Benito avrebbe offerto i servizi tipici di un centro medio all’interno di “una vasta zona spopolata”. Superate le difficoltà relative allo sbancamento della superficie dell’area, la posizione prescelta sarebbe stata su una collinetta che avrebbe offerto “un panorama più vasto” e che avrebbe garantito una salubrità dell’aria maggiore rispetto alla vicinanza del Fiume Tumarrano, luogo non ancora bonificato. Il progetto, realizzato per il Consorzio di Bonifica dall’Ente VEIII, garantiva un accesso al centro grazie ad una breve diramazione che si sarebbe staccata dalla strada principale di bonifica.
Tra i dieci borghi elencati nel bando, troviamo quelli che sarebbero stati Borgo Lupo e Borgo Guttadauro e le case coloniche costruite dall’ECLS – in previsione di Borgo Giovanni Ingrao – in località Tùdia. Borgo Ingrao fa parte di quella serie di centri rurali progettati ma mai costruiti insieme a Borgo Bonanno\Tagliavia, Borgo Ferrara, Borgo Fiumefreddo, Borgo Burrainiti ed alcuni altri. Dello stesso periodo, invece, sono i borghi Manganaro e Francavilla – ovvero Schisina – progettati dall’Ente di Colonizzazione e poi ultimati durante gli anni della Riforma Agraria.
L’Azienda Dimostrativa di Sparacia avrebbe dovuto rispondere alle critiche e alle necessità che già dal 1934 Mangano sottolineava sostenendo che la spinta prodotta dopo le esperienze di bonifica dei villaggi operai o dei consorzi non era sufficiente per “realizzare i fini generali della bonifica”. L’unica soluzione era quella di “superare il mero aspetto tecnico per integrare quello sociale” grazie all’appoderamento e “alla fissazione dell’intera famiglia colonica sulla terra”. Ciò è la chiara premessa all’assalto al latifondo che avrebbe portato in breve tempo la trasformazione dell’Istituto VEIII in Ente di Colonizzazione del Latifondo Siciliano (ECLS), secondo quanto indicato dalla Legge 1/1940. Tale passaggio sembrò voler dare una svolta perentoria ad una situazione fallimentare data dallo “stato di sostanziale inefficienza delle strutture agricole siciliane” e dall’impotenza degli organi governativi. Antonino Checco nel suo testo “Banca e Latifondo” ricostruisce il tentativo fallito della bonifica integrale così come era stata pensata da Serpieri e con il coinvolgimento dei Consorzi di proprietari, riportando la “necessità di una legislazione speciale” che nel 1939 vide il coinvolgimento di Giuseppe Tassinari quale Ministro dell’Agricoltura. L’ECLS, adesso, poteva disporre dell’autorità di controllare e stimolare “da vicino” l’iniziativa privata, lasciando che la trasformazione fondiaria si compiva “o dai proprietari o dall’istituto per conto di questi o per conto di coloro i quali non possono o non intendono farla”.
Dal punto di vista architettonico, l’Azienda Sparacia è completamente diversa da ciò che finora abbiamo analizzato. Non è, infatti, un borgo rurale di servizio o residenziale ne un insieme di case coloniche ma un agglomerato di strutture sparse e ormai in rovina. Tuttavia, sembra che l’Istituto VEIII – che si occupò anche della costruzione delle case cantoniere di Bellolampo (PA) – avesse pianificato e progettato un centro rurale col nome Sparacia, affidandolo alla mano dell’Arch. Pietro Ajroldi, già prima dell’Ente di Colonizzazione. Il progetto, sviluppato dal noto architetto siciliano, verrà successivamente ripreso ed adattato per Borgo Callea, inscrivibile tra la seconda serie di borghi rurali, e completato negli anni ’50 grazie ai fondi messi a disposizione dalla Cassa per il Mezzogiorno, durante il piano di trasformazione integrale del bacino imbrifero del torrente Tumarrano. La piccola chiesa di Sparacia dedicata al Sacro Cuore di Gesù fu eretta a Parrocchia agli effetti civili con D.P.R. n.541 del 29 marzo 1952 e per decreto del Vescovo di Agrigento in data 1 luglio 1951, integrato con dichiarazione di pari data.
Nel testo “22 Anni di Bonifica Integrale” edito nel 1952 dall’IRES, viene fatta un’accurata descrizione dell’Azienda Sparacia. Sappiamo, dunque, che l’estensione era di 1.169,17.38ha e “giace in un zona collinare compresa tra 370 e 780 metri slm., pervenuta all’ERAS nel 1939 con i beni ceduti all’Istituto VEIII. A quella data, erano state costruite 50 case coloniche, di cui 9 incomplete, 5 casette ricovero sparse, 11 abitazioni rurali in corpo unico, 1 centro aziendale costituito da fabbricati per abitazioni, magazzini, officina, rimessa macchine e attrezzi, stalla uffcio etc.”
La storia di Sparacia continua tutt’oggi grazie all’Università di Palermo – Dipartimento dei Sistemi Agro – Ambientali (S.Ag.A.), che ha ottenuto, fin dal 1963, la cessione gratuita per periodi rinnovabili di 28ha circa di terreno dell’ex Azienda in territorio di Cammarata (AG) per lo svolgimento di attività di ricerca scientifíca, sperimentazione e dimostrazione; l’ultimo rinnovo fra le parti risale al 2002 ed è relativo ad un periodo di nove anni.
ca