libertinia

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nelle sue linee all’architettura quattrocentesca siciliana, coronava il piccolo villaggio in cui i gruppi di case erano inframezzati da zone di respiro e da ajuole, mentre attorno all’abitato si venivano creando dei tratti alberati

Sorge Libertinia fra i campi
che rendono forti gli uomini
e grande la Patria,
nel segno del Littorio romano e fascista

L’8 febbraio 1929 ed in base al R.D. 2 dicembre 1928 n.3077, “veduti i pareri favorevoli espressi dal podestà di Ramacca con deliberazione 20 aprile 1928 e dalla Commissione Reale per la straordinaria amministrazione della provincia di Catania con deliberazione 10 ottobre 1928” fu sancito che al villaggio rurale e alla stazione di Saraceni si attribuisse il nome di Libertinia [decreto originale conservato dall’Archivio di Stato di Roma].

Il primo settembre 1929, un articolo apparso sul settimanale illustrato del Popolo d’Italia “La Domenica dell’Agricoltore” descriveva la grandiosa opera di bonifica, perseguendo le disposizioni del D.L. 24 dicembre 1928 n.3134 che diede facoltà ai prefetti “di emanare ordinanze obbligatorie allo scopo di limitare l’eccessivo aumento della popolazione residente nelle città”.


A Libertinia, si pensò dunque di far giungere coloni da tutte le provincie della Sicilia, in particolar modo dalla zona sud-orientale dell’isola, “rilevandoli dai centri urbani più congestionati”, e, con il supporto del Ministero dei Lavori Pubblici, dal lontano Friuli, integrandoli ai cinquanta nuclei già residenti. Tra le famiglie che segnarono le vicende di Libertinia c’è sicuramente quella dei Tusa.

Secondo lo storico Salvatore Lupo, i Tusa insieme ai cugini Seminara, partendo dalla zona di Mistretta (ME), giunsero nelle aree interne della Sicilia seguendo le vie della transumanza. È il 1926 quando Pasquale Libertini affidò loro il controllo del Feudo Mandrerosse, facendoli gabelloti su quei territori. Dagli anni Trenta, Sebastiano Tusa iniziò ad amministrare la grande proprietà, ricoprendo il ruolo di delegato podestà ed affermando in questo modo la presenza della propria famiglia nel piccolo centro catanese, presenza che dura tutt’oggi.


Il 18 marzo 1930, fu realizzato dal Geom. Diego Villareale il progetto per la strada di collegamento tra il villaggio rurale e la Stazione di Libertinia, per una spesa prevista di 174.812,70Lire. L’opera, approvata nel febbraio 1931 dal C.T.A. del Provveditorato alle Opere Pubbliche per la Sicilia, sembrava più che necessaria dato che la popolazione di Libertinia contava già 800 persone e l’incremento era continuo e sensibile. Prima dell’intervento, il villaggio era allacciato alla stazione ferroviaria “a mezzo di un tratto di m.1850 della strada N°25 (Stazione Libertinia — Stazione Raddusa) e di un tratto di m.1300 circa a fondo naturale, transitabile solo nel periodo estivo”.

Per rendere possibile l’accesso durante tutto l’anno, l’Amministrazione Comunale di Ramacca, visto il parere positivo del Provveditorato, deliberava di procedere alla costruzione di una nuova strada ed affidava allo stesso Libertini “l’incarico di far compilare a proprie spese il relativo progetto” e di accettare il “contributo offerto dallo stesso On. Libertini in ragione del 40% della spesa e di subordinare l’esecuzione dell’opera alla concessione del sussidio Governativo e Provinciale previsto dal R.D. 8/5/1919 n°877 art.2, lett. a“. Veniva, dunque, riconosciuta definitivamente la “notevole importanza” di Libertinia per l’economia agricola di una vasta area della Piana di Catania.

La rivista del Touring Club Italiano “Le Vie d’Italia” nel numero 5 del maggio 1932 menziona il centro rurale in un articolo sulle opere pubbliche compiute in Sicilia. “Ottimo principio sul cammino […] d’una volenterosa redenzione della terra attraverso un ritorno degli uomini al suo grembo sicuro e con l’usbergo dei nuovi ed efficaci patti agrari” sono le realizzazione avvenute per iniziativa pubblica dei villaggi di Regalmici, Sferro, Littorio e Filaga e quelle d’iniziativa privata di Santa Rita (CL), Regaleali (PA) ed appunto di Libertinia.


A menzionare Libertinia nella propria indagine sulla Sicilia del 1937, terra contraddistinta da una ruralità arcaica in cui spesso i proprietari erano restii ad iniziative di bonifiche, fu anche Virginio Gayda nel ciclo di articoli apparsi sul “Giornale d’Italia” dal titolo “Problemi Siciliani”. L’autore fa notare come dove prima dominava la solitudine e l’abbandono, adesso grazie al nuovo villaggio “millecinquecento coloni […] lavorano la terra vivendo nelle case sparse. È cresciuto il grano. Vanno sorgendo gli uliveti, i vigneti e gli agrumenti […]. La vita ritorna dove era l’inerzia secolare dell’abbandono”.

Nel 1939, la situazione della bonifica integrale e della colonizzazione in Sicilia era profondamente cambiata: Vincenzo Ullo, sempre sulle pagine de “Le Via d’Italia“, descriveva la nascita di una nuova Sicilia, pronta all’assalto del latifondo e alla realizzazione capillare di case e borghi rurali. Tutto ciò fu reso possibile grazie all’azione di enti pubblici, come l’Istituto Vittorio Emanuele III per il Bonificamento della Sicilia che condusse i primi esperimenti di lottizzazione nel Feudo di Sparacia e di aziende private che “con la loro azione rinnovatrice hanno dimostrato come anche la proprietà  privata sappia elevarsi all’altezza dei tempi”.

Il riferimento era proprio a Libertinia e alla trasformazione dell’ex-feudo Spedalotto (EN) dove, “se non è sorto un villaggio, si è però attuato il primo esperimento di meccanizzazione integrale di una azienda agricola in Sicilia”.


È del 1939 il testo “Mandrerosse — Paesaggi, uomini e canti di Libertinia” che, accompagnato dalle tavole del pittore Roberto Rimini, riassumeva la ricerca di Francesco Pastura durante la sua residenza nel villaggio. Pastura, musicista e musicologo catanese conosciuto soprattutto per i suoi lavori su Vincenzo Bellini, iniziò a dedicarsi alla ricerca di canti e tradizioni siciliane già nel 1937 in un breve articolo intitolato “Gridi e cantilene del popolo siciliano” dove venivano presentati cinque esempi raccolti nei pressi di Catania.

Per Vincenzo Ciminello, l’esperienza di Pastura a Libertinia

costituisce un’antesignana esperienza di ricerca sul campo. Come si evince dalle pagine dell’opera, lo studioso soggiorna infatti varie volte nella masseria del feudo e gli esiti del suo lavoro vengono riorganizzati, arricchiti e pubblicati in volume (1939), per volontà del senatore Libertini, solo dopo che erano apparsi in maniera frammentaria come articoli di terza pagina sul periodico catanese “Popolo di Sicilia”. Il microcosmo socioculturale indagato da Pastura è permeato dall’incontro tra l’ideologia fascista e un atteggiamento di rassegnazione di fronte a ogni aspetto della vita, palese in molte affermazioni degli informatori che lo studioso ebbe modo di intervistare [continua a leggere]

  • Asilo infantile
  • Ambulatorio medico
  • Sistemazione della strada di accesso e delle strade interne
  • Costruzione delle fognature
  • Nuova canonica annessa alla chiesa da riattare
  • Scuola
  • Gruppo caserma carabinieri, delegazione municipale ed ufficio postale
  • Ricostruzione della rete idrica, costruzione di un serbatoio e distribuzione nel villaggio mediante fontanelle
  • Impianto elettrico

Maggiori approfondimenti degli scavi di fondazione negli edifici “Scuola ed Asilo”, adozione di fondazioni in c.a. in sostituzione di quelle ordinarie previste negli edifici “Delegazione Comunale-Caserma Ufficio Postale ed Ambulatorio”; utilizzazione della pendenza naturale del terreno retrostante gli edifici “Delegazione Comunale e Caserma dei Carabinieri per ricavarvi uno scantinato nel retroprospetto da destinare ad uso rimessa macchine e deposito; opere di drenaggio a monte degli edifici “Chiesa – Asilo – Scuola” ed esecuzione di scavi in galleria per la capostazione delle sorgenti previste per l’approvvigionamento idrico del Borgo, in sostituzione degli scavi a cielo aperto previsti in progetto.

gli edifici e gli impianti destinati a servizi di competenza comunale, costruiti a spese dello Stato nei centri rurali sorti nelle zone del latifondo siciliano, colonizzate in attuazione della legge 2 gennaio 1940-XVIII, n.1, saranno trasferiti gratuitamente in proprietà ai Comuni con il vincolo della destinazione perpetua ad uso di pubblica utilità.


una congrua estensione di terreno per allestire varie case d’abitazione di cui vi è gran penuria, da concedersi ai coltivatori del luogo ed a quegli altri assegnatari che intenderanno svolgere attività commercial e artigiana nel borgo rurale

solo in pochi erano rimasti insediati stabilmente sul terreno ormai riscattato, tanti hanno venduto il lotto (includendovi l’alloggio), altri si sono insediati nelle case di chi si è trasferito.

solo in pochi erano rimasti insediati stabilmente sul terreno ormai riscattato, tanti hanno venduto l’Ente per la riforma Agraria in Sicilia ha provveduto a proprie spese al rifornimento dell’acqua po­tabile necessaria alla popolazione del borgo, con autobotti, e sino a quando non sarà ripristinato il funzionamento dell’acquedotto che si trova già in corso di riparazione. I lavori di che trattasi sono stati, infatti, già consegnati dall’E.RA.S. alla Società Dalmine, sollecitando nel contempo la medesima a dare subito corso ad una riparazione anche provvisoria del tratto di tubazione interrotto. E’ stato altresì disposto che l’andamento dei lavori di sostituzione della condotta pro­ceda in modo da dare luogo solamente a bre­vissime interruzioni dell’esercizio dell’acquedotto, in modo da non arrecare ulteriori disa­gi alla popolazione del borgo. Per l’allacciamento elettrico, poi, si signifi­ca che la Società generale elettrica ha accon­sentito alla risoluzione del problema relativo allo allacciamento delle utenze private alla rete di alimentazione principale ed anzi è sta­ta predisposta una convenzione per regolare la fornitura dell’energia che sarà presto sotto­ firmata dalle parti. Assicuro, comunque, la Signoria vostra ono­revole che sono state impartite precise dispo­sizioni perchè i problemi posti nella interroga­zione cui si risponde siano tenuti presenti fi­no alla completa risoluzione. lotto (includendovi l’alloggio), altri si sono insediati nelle case di chi si è trasferito.

molti degli originari assegnatari dei viciniori lotti di R.A. hanno riscattato o afrancato il lotto e quasi subito venduto; alcuni hanno abbandonato la coltivazione o sono emigrati; altri sono incorsi in varie altre cause di inadempienza; altri ancora sono deceduti e gli eredi non hanno avuto i requisiti per concorrere a nuova assegnazione.

per l’ESA, molti degli odierni odierni occupanti sono dei detentori senza titolo; nessuno ha mai corrisposto alunchè all’Ente per occupazione di edifici;

l’ESA, di concerto con l’Assessorato Agricoltura e con il Comune di Ramacca, ha avviato una pratica tendente a regolare la situazione catastale e urbanistica, adeguandola al piano regolatore del Comune, al D.L. 28/12/89 e successiva normativa, in vista di un diverso servizio del Borgo.

Mi riferisco alla comunità agricola sita nella Frazione “Libertinia” del Comune di Ramacca. Fu fondata nel 1929 dove prima esisteva solo il latifondo incolto, destinato a pascolo. Qui furono immesse allora quaranta famiglie colonihe che, sotto la guida di imprenditori agricoli, trasformarono 1000 e più ettari di terreno in un centro di produzione ad altissimo livello. Le quarante famiglie provenivano quasi tutte dalla Sicilia sud-orientale ed avevano un tenore di vita molto basso: con il loro lavoro, dopo alcuni anni, le loro condizioni migliorarono sensibilmente; tutta la comunità ne risentiva; la frazione era un centro di vita prospero e rigoglioso, si pensava anzi che il suo sviluppo continuasse sempre, e in meglio.

Poi venne la guerra, ma questa fu solo una parentesi, anche breve, in questo processo di sviluppo: la vita riprese subito dopo e sembrava che il movimento in senso progressivo continuasse. Si arrestò quando in questa zona cominciò ad operare la riforma agraria regionale. Furono distribuiti a contadini, ed anche a non contadini, 47 appezzamenti di terreno per circa 250 ettari, altri piccoli appezzamenti furono comprati dai coloni che già erano sul posto (dei 47 infatti nessun appezzamento toccò in sorte ai contadini locali), un nucleo di circa 200 ettari fu comprato dall’imprenditore che gestiva prima tutto il latifondo.
A prescindere da certi scossoni iniziali, naturali e logici in una trasformazione fondiaria di tale portata, si sperava che ad un assestamento si sarebbe giunti: oggi, 6 aprile 1969, a distanza di tanti anni, ad un assestamento si è giunti, ma assolutamente negativo: camminando per questo villaggio, parlando con gli abitanti, si ha l’impressione di camminare per le vie di un paese fantasma e di parlare con larve umane, uomini senza prospettiva e senza speranza, che hanno solo la prospettiva immediata, ed unica, di emigrare, di andarsene, per creare un lavoro altro, l’unica possibilità che oggi resta loro per sfamare le loro famiglie. Dinanzi a questa situazione, veramente abnorme, io, che ricordo la vita che pullulava prima in questo piccolo centro, mi chiedo angosciato e pieno di tanta tristezza: perchè tutto questo? che è successo? perchè tanti padri di famiglia sono oggi costretti, con il pianto nel cuore, ed anche negli occhi, ad abbandonare la loro casa, i loro affetti, per emigrare in paesi sconosciuti per far vivere le loro famiglie? La tragica risposta a questi interrogativi è una sola: qui, in questa comunità, come del resto in altre parti della Sicilia, si è operato un delitto per il quale tanti si sono adoperati, forse anch’io che scrivo queste parole! Delitto dovuto ad ignoranza, a demagogia, a malafede, a incomprensione. Dico subito: una riforma agraria si doveva fare, il latifondo non poteva più continuare ad esistere, a maggior chiarimento aggiungo ancora che secondo me la prprietà privata non ha alcuna ragion d’essere, ma certo questo è stato il modo peggiore per farla, questa riforma agraria che pur si doveva fare! Non ci si poteva limitare soltanto a distribuire un misero appezzamento di terreno, e basta! I contadini andavano assistiti, indirizzati, bisognava eseguire quelle infrastrutture che potessero consentire ai contadini di sfruttare quanto e quanto più meglio possibile l’appezzamento che avevano ricevuto. Niente di tutto questo, invece: in questa comunità manca ancora l’acqua, anche per bere: eppure da oltre un decennio, chi scrive, ha spinto chi di ragione a provvedere; esiste inoltre, presso l’ESA, una sezione che si occupa della cooperazione ma, malgrado varie insistenze, non si è riusciti a fare qualcosa di concreto a riguardo; gli edifici pubblici costruiti dall’ESA stanno andando in rovina, da alcuni anni sono stati stanziati 100 milioni a riguardo, ma la perizia dei lavori non riesce ad andare in porto, oltre che per altri motivi, anche perchè nella perizia stessa di voleva incldere, ed in effetti è stata inclusa in un primo tempo, la fornitura dei paramenti sacri e di altri oggetti connessi al culto.
Constatanzione ancora più grave, che del resto è una logica consegueza di quanto sopra s’è detto: i contadini tornano spesso al mulo, anche se prima si servivano del trattore. Quei contadini che lavorano la terra evidentemente, quelli che cioè ancora resistono e non emigrano perchè non possono o per vari motivi o perchè qualcuno ancora insiste: ma per il resto la maggior parte emigra! Non si dirà mai abbastanza di questo tristissimo fenomeno: si, bisognava e bisogna ancora, che sull’agricoltura graviti un minor numero di persone, questo è vero: basti pensare alla percentuale di lavoratori che vive sull’agricoltura nei paesi più progrediti, ma appunto qui sta il nocciolo della questione: prima che queste forze di lavoro abbandonassero, in Sicilia, l’agricoltura occorreva che questa venisse portata sullo stesso piano di quei paesi in cui l’agricoltura è veramente a livello dei tempi, industrializzandola in un secondo tempo: se oggi, per pura ipotesi, purtroppo si volesse far questo, macherebbero qui le forze lavoro capaci per farlo; io sono certo però che se i nostri emigranti sapessero di poter trovare lavoro qui, tornerebbero in massa, anche con una retribuzione inferiore a quella che prendono fuori. Questa è soltanto una pura ipotesi, però, in realtà i nostri contadini continueranno ad emigrare, le nostre campagne consinueranno a spopolarsi e a languire, famiglie continueranno a spezzarsi e a dividersi, inutili industrie continueranno ad essere finanziate dal pubblico denaro e quindi ad essere chiuse, i nostri uomini politici continueranno imperterriti a dilaniarsi, ognuno formando quasi una “corrente” per entrare nella “stanza dei bottoni”, e a venir meno ai doveri che hanno assunto con chi, sia pure inconsciamente, li ha mandati al parlamento. Fino a quando? La risposta non è ne facile ne semplice, sembra certo però che ormai la soluzione di questo tragico problema dovrà venire dal popolo!

Libertinia [28.8.2019]