[vc_row][vc_column][vc_custom_heading text=”ARTICOLI” google_fonts=”font_family:Open%20Sans%3A300%2C300italic%2Cregular%2Citalic%2C600%2C600italic%2C700%2C700italic%2C800%2C800italic|font_style:300%20light%20regular%3A300%3Anormal”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column width=”5/12″][vc_single_image image=”5464″ img_size=”450×450″][/vc_column][vc_column width=”7/12″][lab_scroll_box scroll_height=”360″ css=”.vc_custom_1614284946020{padding-top: 45px !important;padding-right: 45px !important;padding-bottom: 45px !important;padding-left: 45px !important;background-color: #eeeeee !important;}”]QUELLA SCOMMESSA DI MAZZOCCHI ALEMANNI. LO SGUARDO DIVERGENTE DI GIACOMO POZZI BELLINI ED EUGENIO BRONZETTI SUL LATIFONDO SICILIANO

di Fabio R. Lattuca

[…] Tra le amicizie non allineate e critiche col Regime, però, quella tra Mazzocchi Alemanni e Giacomo Pozzi Bellini rimane la più particolare ed intensa. Originario di Faenza, Giacomo Pozzi Bellini nel 1939 firma il suo primo documentario Il pianto delle Zitelle, su un pellegrinaggio che si svolge ancora oggi sui monti del basso Lazio. La pellicola si concludeva con una cerimonia religiosa basata su un canto di origine settecentesca (il “pianto delle zitelle” che dà il titolo al film), che, per la schiettezza e la verità con cui riprendeva la realtà dell’Italia contadina di quegli anni, fu visto dalla critica come un anticipatore del cinema neorealista del dopoguerra. Il film vinse il primo premio alla VII Mostra del cinema di Venezia ma venne poi pesantemente tagliato dalla censura fascista, per via dell’immagine arretrata che restituisce dell’Italia contadina e della sua religiosità ingenua e ancestrale, una realtà che il regime non voleva ammettere né tanto meno mostrare.

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[/lab_scroll_box][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_separator][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column width=”5/12″][vc_single_image image=”5459″ img_size=”450×450″][/vc_column][vc_column width=”7/12″][lab_scroll_box scroll_height=”360″ css=”.vc_custom_1614283747023{padding-top: 45px !important;padding-right: 45px !important;padding-bottom: 45px !important;padding-left: 45px !important;background-color: #eeeeee !important;}”]LE TRE IPOTESI DI TRACCIATO E LA REALIZZAZIONE DELLA FERROVIA ALCAMO-TRAPANI\VIA MILO

di Fabio R. Lattuca

In vista di una possibile riapertura della linea Alcamo Diramazione – Trapani, con questo articolo si ripercorrono i momenti cruciali della realizzazione della tratta, grazie agli articoli di Armando Troni e dell’Ing. Mauro Garofoli dell’Ispettorato Ferrovie, Tranvie e Automobili. Si è, dunque, cercato di riportare in modo fedele le notizie e le informazioni raccolte nel 1937, anno di avvio dei collegamenti tra i due capoluoghi di provincia.
Nel 1937, la Sicilia è «il centro dell’Impero», un «centro ideale tra la Madre Patria» ed i nuovi territori conquistati in Africa. Si affida all’isola un ruolo fondamentale nello scacchiere strategico internazionale: l’Italia non vuole esser seconda a nessun’altra Nazione nel dimostrare la propria supremazia coloniale. Inoltre, il fascismo cerca di rinsaldare il proprio legame con la Sicilia. In quegli anni si costruiscono opere pubbliche, arterie stradali e si sviluppa un’ampia rete ferroviaria a scartamento ordinario e ridotto ma raggiungere Trapani e la zona occidentale è ancora un viaggio fin troppo lungo che è garantito da una linea di ben 195 km che tocca Castelvetrano, Mazara e Marsala.

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[/lab_scroll_box][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_separator][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column width=”5/12″][vc_single_image image=”5174″ img_size=”450×450″][/vc_column][vc_column width=”7/12″][lab_scroll_box scroll_height=”360″ css=”.vc_custom_1599942434189{padding-top: 45px !important;padding-right: 45px !important;padding-bottom: 45px !important;padding-left: 45px !important;background-color: #eeeeee !important;}”]GENESI DELLA RETE A SCARTAMENTO RIDOTTO DELLA SICILIA

di Fabio R. Lattuca

Un piano organico, esteso e particolareggiato, fu sviluppato a cavallo tra il XIX e il XX secolo per realizzare in Sicilia una rete ferroviaria complessa e che favorisse scambi di persone e cose da e per l’isola. Nonostante gli sforzi fatti e diverse leggi varate, però, il reticolo di binari realmente realizzati è stato ridotto considerevolmente nel corso del tempo.
In questo articolo, che prende spunto da un testo a firma dell’Ing. Francesco Agnello apparso nel maggio 1912 sulle pagine della “Rivista Tecnica delle Ferrovie Italiane”, si cerca di ricostruire le vicende legate alle ferrovie siciliane fino al 1912.

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[/lab_scroll_box][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_separator][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column width=”5/12″][vc_single_image image=”4418″ img_size=”450×450″][/vc_column][vc_column width=”7/12″][lab_scroll_box scroll_height=”360″ css=”.vc_custom_1573336962528{padding-top: 45px !important;padding-right: 45px !important;padding-bottom: 45px !important;padding-left: 45px !important;background-color: #eeeeee !important;}”]FALLIMENTO E RICONVERSIONE DELLE LINEE A SCARTAMENTO RIDOTTO IN SICILIA NEL 1939

di Fabio R. Lattuca

In questo articolo, si racconta un aspetto poco conosciuto riguardante l’utilizzazione di alcuni tronchi ferroviari della rete siciliana a scartamento ridotto e della proposta di una loro riconversione in vista dell’assalto al latifondo siciliano proclamato il 20 Luglio 1939 da Benito Mussolini. Per avere un quadro complessivo dei fatti, bisogna però tornare a diversi anni prima.
Il 21 Luglio 1911 con la Legge n.848 venne autorizzata la costruzione di una rete ferroviaria secondaria in Sicilia che secondo l’art.2 non poteva “eccedere la complessiva lunghezza di chilometri 500 nel primo quinquennio e di altri 300 nel secondo quinquennio”.
Con il RDL n.667 del 13 Aprile 1919 venne concessa la realizzazione delle opere ferroviarie a cura dello Stato con uno stanziamento iniziale complessivo di cinquanta milioni di Lire. Nel 1923, grazie al RD n.1218 del 29 Aprile vennero approvate due convenzioni stipulate dal Ministero dei Lavori Pubblici con la “Compagnia generale per lavori e servizi pubblici” e con la “Società costruzione esercizio ferrovie” per la concessione “della costruzione delle ferrovie secondarie in Sicilia, da eseguirsi a scartamento ridotto, in dipendenza della legge 21 luglio 1911, n. 848, e sue successive modificazioni”

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[/lab_scroll_box][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_separator][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column width=”5/12″][vc_single_image image=”1727″ img_size=”450×450″][/vc_column][vc_column width=”7/12″][lab_scroll_box scroll_height=”360″ css=”.vc_custom_1573337086855{padding-top: 45px !important;padding-right: 45px !important;padding-bottom: 45px !important;padding-left: 45px !important;background-color: #eeeeee !important;}”]RAPPRESENTAZIONE MULTIMEDIALE DI BORGO REGALMICI

di Federico Termini

L’analisi degli studi sul soundscape e la relazione tra questo e i luoghi o gli spazi che lo generano, ha portato alla decisione progettuale di raccontare e descrivere un luogo – in questo caso un borgo rurale siciliano, pregno di storia e di tradizioni ormai perse – non solo tramite la sua riproposizione visuale ma in particolar modo tramite quella sonora. Spazio e suono fanno parte di un unico organismo all’interno del quale l’uomo è immerso e, come scrive Schafer, in continua “risonanza”. Proprio per questo l’immersività è la caratteristica principale che il progetto vuole avere. Si compone infatti di due parti principali, sotto forma di elaborati video, che creano un percorso virtuale all’interno del borgo: il primo descrive le condizioni attuali del sito, sia dal punto di vista visivo ed architettonico, sia da quello prettamente sonoro. La parte visiva viene riposta attraverso riprese reali tra le baracche del borgo che tracciano un itinerario nell’area presa in esame, mentre la parte sonora si compone di una serie di registrazioni sul campo, effettuate con tecniche e strumenti differenti, che faranno parte dell’elaborato video e trattate in maniera da restituire una precisa corrispondenza tra ciò che si guarda e ciò che si ascolta.

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[/lab_scroll_box][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_separator][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column width=”5/12″][vc_single_image image=”1046″ img_size=”450×450″][/vc_column][vc_column width=”7/12″][lab_scroll_box scroll_height=”360″ css=”.vc_custom_1573136361318{padding-top: 45px !important;padding-right: 45px !important;padding-bottom: 45px !important;padding-left: 45px !important;background-color: #eeeeee !important;}”]

BORGO REGALMICI E BORGO AMERIGO FAZIO — LA STORIA DEL SUONO DI DUE BORGHI RURALI SICILIANI

di Fabio R. Lattuca e Pietro Bonanno

Gli studi sul paesaggio sonoro sono un corpo complesso di teorie e pratiche nato tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta a Vancouver in seno alla Simon Fraser University per mano di un’equipe di ricerca pionieristica formata da R. Murray Schafer, Barry Truax, Hildegard Westerkamp e altri. Il loro lavoro, inizialmente focalizzato sull’inquinamento acustico del Canada, presto divenne una prestigiosa opera di analisi sul suono dei paesaggi attraverso il loro mutamento storico e l’eterogeneità geografica. L’ecologia acustica, prendendo spunto dai lavori di ecologia profonda del filosofo norvegese Arne Naess, è un contenitore all’interno del quale si svilupparono gli studi sul paesaggio sonoro attraverso l’impatto che quest’ultimo ha sulla popolazione (2009, Symposium on Soundscape Ecology: Merging bioacoustics and landscapes), sull’individuo e sull’ambiente, attraverso una prospettiva geografica, ecologica in senso stretto e cognitiva. A riguardo Almo Farina, professore straordinario di ecologia dell’Università di Urbino, propone un lessico innovativo che ha come finalità quella di studiare i rapporti tra landscape e soundscape, tra uomo e ascolto, per dar vita ad uno studio sulla specificità del paesaggio sonoro come elemento imprescindibile per l’esperienza ambientale.

[/lab_scroll_box][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_separator][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column width=”5/12″][vc_single_image image=”537″ img_size=”450×450″][/vc_column][vc_column width=”7/12″][lab_scroll_box scroll_height=”360″ css=”.vc_custom_1573136640029{padding-top: 45px !important;padding-right: 45px !important;padding-bottom: 45px !important;padding-left: 45px !important;background-color: #eeeeee !important;}”]

ALLA RICERCA DI UNA NUOVA IDENTITA’ RURALE. CENTRI DI SERVIZIO E URBANISTICA MODERNA NEL CONTRIBUTO DI EDOARDO CARACCIOLO.

di Enza Emanuela Esposito

Nell’ambito della tematica relativa l’Assalto al Latifondo Siciliano la realizzazione dei Centri di Servizio si pone come fase peculiare dell’intervento fascista nell’entroterra dell’isola. L’intervento infatti risulta avere una sua specificità se contestualizzato nel panorama storico e urbanistico della prima metà del Novecento. Con la guerra alle porte il progetto di lottizzazione del latifondo siciliano promulgato da Mussolini si pone come esempio utopistico della ricerca spasmodica di ruralizzazione del popolo italiano in contrapposizione al fenomeno sempre maggiore dell’inurbamento. Il progetto, che presenta rilevanti caratteri dal punto di vista urbanistico, storico, sociale e architettonico, non vide la fine del conflitto bellico ma il patrimonio architettonico prodotto permane sul territorio quale testimonianza di un fervente periodo storico. La costruzione dei nuovi Centri di Servizio, così come definiti dalla Legge del 2 gennaio 1940, fu affidata all’Ente di Colonizzazione del Latifondo Siciliano di cui era direttore Nallo Mazzocchi Alemanni. Fu proprio grazie alla volontà dell’Alemanni di rispettare il principio di ruralità che i borghi assunsero carattere di unicità determinato dall’interazione tra l’architettura fascista e la tradizione siciliana.

L’Alemanni scriveva:

“ E alla progettazione dei detti borghi io volli chiamare solamente architetti siciliani, particolarmente i giovani (vi fu anche un gruppo del G.U.F.), facendo appello alla loro sensibilità e capacità, onde anch’essi collaborassero, nel quadro della loro competenza […]”1

E ancora:

“[…] bandito il sordo linguaggio e il luogo comune del progetto di ufficio, fossero rispettosi dell’ambiente e del carattere locale della nuova architettura, entro i saggi limiti di una libera interpretazione delle forme indigene, penetrandone lo spirito e adattandole alle moderne funzioni degli edifici costituenti il borgo. Rifiutassero prestiti di forme estranee alla nostra sensibilità e che, se adattate a paesi dalle nebbie perenni e dalle notti polari, costituiscono un assurdo controsenso per noi mediterranei.”

Nallo Mazzocchi Alemanni decise quindi di affidarsi a giovani architetti tra cui risaltano i nomi di Luigi Epifanio e Edoardo Caracciolo ai quali, nel 1940, l’Istituto Nazionale di Cultura Fascista affidò la redazione di lezioni volte a diffondere le linee guida per l’edificazione dei centri.

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MURA VUOTE: STORIA ED ECOLOGIA DEL SUONO DEI BORGHI RURALI SICILIANI

di Fabio R. Lattuca e Pietro Bonanno

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